L’oscuro fascino dello zero

Lo zero (0) – dice Wikipedia – è il numero che precede uno e gli altri interi positivi e segue i numeri negativi.
Zero significa anche: niente, nullo, vuoto. Il numerale o cifra zero si usa nei sistemi di numerazione posizionali, quelli cioè in cui il valore di una cifra dipende dalla sua posizione. La cifra zero è usata per saltare una posizione e dare il valore appropriato alle cifre che la precedono o la seguono.
Lo zero – e questo lo aggiungo io – esercita un fascino oscuro nella cultura umana, per lo meno in quella occidentale (che è quella che conosco meglio). È accettato, oltre che abitudine, fissare traguardi a cifre cosiddette “tonde”, che poi guarda caso finiscono con zero (che è un tondo preso in morsa). Possono essere 100 gol per un calciatore, 1.000.000 di dischi venduti per un cantante, 10 post per un blogger scostante e privo di idee (e con questo doppierei la meta, se solo me la fossi posta), e così via.
Ad esempio, perché quel calciatore festeggia di più il centesimo gol che il centododicesimo? Perché quel cantante dice di avere venduto un milione di dischi anche se i dischi sono un milione e ottantuno? Può un blogger accogliere con guaudio e tripudio il suo tredicesimo post fregandosene spassionatamente del decimo?
Lo zero fa prepotentemente parte dei punti fermi della nostra cultura. La causa dev’essere il fascino perverso di dare valore a qualcosa che valore non ne ha.

(Se xe cusita, al prosimo asegno che me faxì xonteghe un fia de xeri, tanto no i val ninte)

Post scriptum e post rilectum: Mi sono accorto di aver usato inconsciamente, nell’aggiungere numeri ai fantomatici traguardi, multipli di tre: 12, 81, e il 3 stesso.
Mumble mumble…

Post n. 19

Oncò me sento en colpa parché xe na fraca de tempo che no scrivo un post en veneto su sto blog che’l dovaria contegnere (dal titolo) pi roba en te la me lengua che en talian.
Go desidù de scriverne uno tuto en veneto cusita la me cosiensa la se chieta un fiatin al manco do tri dì, ma non savendo che roba meterghe rento go lasà che’l vegnese a caso con parole e frasi sensa un argomento. El efeto no’l xe gnanca male, parché dopo sie righe tuto par cuasi filar lisio e a vardar da lontano pararia che’l sia sta architetà tuto da prinsipio, invese le parole le me vien co che scrivo savendo che sto post el se podaria interompere tuto s’un trato. Na roba che la me gà judà xe che al manco, esendo sto post un “editoriale” (o pseudo tale) no’l ga bixogno de un titolo, me basta a contare i post che go xà publicà e xontarghine uno ‘n tel me titolo.

Il frighetto

Questa mattina i miei colleghi hanno visto entrare (in realtà sono il primo ad arrivare in ufficio, prendete questa affermazione col beneficio di inventario letterario) il vostro esimio (vale a dire io) con una polo verde della nazionale di rugby irlandese, delle braghe corte, un paio scarpe Airwalk comprate a marzo da Lillywhites a 10 sterline e, per la prima volta quest’anno, il frighetto termico contenente un litro e mezzo d’acqua ghiacciata che tanto mi si invidia (e non si capisce perché mai nessuno a parte me ha l’idea di portarsi l’acqua ghiacciata e il frighetto per tenerla tale invece che morire di sete e accontentarsi della bottiglietta da mezzo dei distributori automatici che fra l’altro costa un mutuo).
Sì, insomma, da oggi è ufficialmente troppo caldo per me.

Mi sto chiedendo se fra un anno quando per la prima volta tornerò a portare il frighetto scriverò un altro post pressoché identico :-/

Che velocità (ma quale velocità?!)

Una strada tortuosa, stretta, buche ogni dove che si riempiono d’acqua. Curve cieche salgono e scendono irregolarmente. Sui lati, dove l’asfalto è delimitato da una linea tratteggiata gialla, subito si inerpicano dei muri di pietra e piante verdi. E lì, su una banchina inesistente, ogni tanto un segnale tondo, bianco bordato di rosso, con una scritta: 100 km/h.
Come se fosse (nonostante la strada sia pressoché deserta) solo pensabile andare a 100 chilometri orari in una strada del genere.
Signore e signori, ladies and gentlemen, questa è l’Irlanda. (E se avessi fatto una foto di queste strade con quei segnali, l’avrei postata).
Il fatto è che gli irlandesi, anche potendo andare veloci, sono tranquilli. Non hanno fretta di niente. E questa è una cosa che amo.

La prima canzone dei Matrioska che ho mai sentito si intitolava appunto Che velocità. Non parlava di macchine, non parlava di strade né larghe né strette, non parlava di Irlanda. Però il titolo si intona. Li sto riascoltando in questo periodo e sto notando (o rinotando) il loro percorso di “maturazione”. È una parola che non ho mai capito. Tipo gli 883, che sono “maturati”. Sì, nel senso che sono diventati marci… Che belli che erano i primi album, in confronto agli ultimi fru fru fru gne gne gne di Max Pezzali! Ma vuoi mettere Non me la menare? Te la tiri? Lasciati toccare? Rotta per casa di Dio?
Vabbè, i Matrioska si sono evoluti, questo sì. E continuano a piacermi, dal primo album all’ultimo. Però un po’ alla volta il loro ska è andato scemando, come in un processo di sintesi simbiotico-economica. E ora, nel 2008, anche il nome MatrioSKA perde il suo significato. Così come il suo stile.
Peccato.

Domani ascolterò il loro album live stando attento a non superare i 70 su tre autovelox.
Mi chiedo se in Irlanda quei limiti li abbiano messi per risparmiare sulle pattuglie dei vigili urbani. Se è un paese ricco ci saranno delle ragioni…

Esserci

Domani Irlanda. Finalmente, aggiungerei. Peccato che, per quanto si possa stare lì, è sempre troppo poco.
Soprattutto se sono quattro miseri giorni.
Ma poco è comunque meglio di mai.
Oggi ho preparato il mio bagaglio: cinque minuti netti. Questo perché me la sono presa comodissima e ho impiegato tre minuti e mezzo a cercare una mappa che si era nascosta sotto un cuscino sperso.

Comunque, Irlanda o no, ogni volta (e fortunatamente non capita molto spesso) che passo su Badoo (Io ci sono™) mi si presentano le foto di due greggi di pecoroni tutti uguali adagiati alle feccio-mode del 2008: il primo è quello degli emo lastrati di gel e trucco, il secondo quello dei truzzi fighetti con agli occhi fanali da sole.
Osceni.

Vederli mi mette una tristezza incredibile. Solo che, invece di suicidarmi, penso a me e mi dico che è un piacere in più, per me, non esserci.

Buon viaggio a tutti, comunque.

Blog rattizzato

Può mancare una zona musica nel mio blog?
Certo che sì, ovviamente.

L’altro giorno passavo per una strada sterrata della mia città e sul cancello che dava a un campo stava appiccicato un adesivo: Zona derattizzata. Ora tutte le varie digressioni possibili su quanto me ne può o no fregare del fatto che un campo che probabilmente non vedrò più e con cui non ho mai avuto a che fare di proprietari che non conosco sito sì nella città in cui abito ma abbastanza distante dalla mia casa da non presentarsi pericolosa nei mei confronti l’eventuale presenza di ratti nel suddetto campo sia derattizzato (e ammetto che se avessi usato virgole il periodo poc’anzi interrotto da questa parentesi sarebbe comunque contorto) sono abbastanza futili e inopportune perché (si capisce che sto leggendo un libro di David Foster Wallace?) non sono i campi (de)rattizzati l’argomento di questo post ma bensì il gruppo musicale de I ratti della Sabina.
La settimana scorsa ho ascoltato i loro album in macchina e subito mi sono chiesto come mai mi piacciono (o piacessero, a seconda del gusto personale (in questo 2008 sia lo scrittore che il lettore hanno la facoltà di scegliere quando se e come applicare congiuntivi e/o congiunzioni (mentre le congiuntiviti rimangono ancora appannaggio dei batteri incaricati))). Poi ho sentito questa canzone e mi sono spiegato tutto.

Pari o dispari?

Pari o Dispari?
Come dire: Yin o Yang? Vita o Morte?
Ogni essere umano tende a preferire i numeri i pari ai dispari o viceversa. Con le varie eccezioni, naturalmente. Io ho una predilezione per i numeri dispari. I “miei” numeri sono tutti dispari, come sono dispari la maggior parte dei numeri che mi comunicano qualcosa o che scandiscono le mie opere.
Ciò implica che non ci sia una volontà razionale nella scelta dei numeri, ma piuttosto un istinto primordiale che porti da una parte piuttosto che dall’altra.
Il mio cruccio, argomento di studio e deliberate teorie, ipotesi e digressioni, riguarda invece i decimali.
Ovvero come reagisce il proprio inconscio a un numero come, ad esempio, 14,3, oppure 8,56. Lo studio del fenomeno è da poco in atto e non ha prodotto (finora) particolari risultati (né li ho (finora) pretesi). Posso dire, sulla base della mia esperienza e delle mie sensazioni personali, di essere attratto (e pronunciare spesso) il 3,2.
Esaminandolo, esso contiene solo numeri primi e, nonostante l’ultima cifra sia pari, sia l’intero che la somma delle cifre sono dispari.
Che sia un segno di qualcosa?

Opposti che NON si attraggono

Conversazione delle 19:30 di commiato da Serena.
Io: “Buonanotte”
Serena: “A sta ora?”
Io: “Te narè anca a leto sta note”
Serena: “Sì, va ben, però no deso”
Io: “Gonti a telefonarte ale undexe par darte la buona note?!”

Stavo pensando che io e Fabio siamo agli antipodi: lui dice Buongiorno ogni volta che arriva, qualsiasi ora sia; io dico Buonanotte quando me ne vado, anche se è pomeriggio. Più che il giorno e la notte, si può dire che siamo il buongiorno e la buonanotte.

Post n. 12

Il numero 12 (dodici) ha un fascino tutto suo. Ad esempio, nel campionato italiano il numero 12 è appannaggio solo dei portieri, non solamente per tradizione ma per una precisa regola scritta. Forse è per questo motivo che tanto esercita il suo fascino su di me. Nonostante il mio numero nel calcio sia il 3 (ebbene sì, sono un terzino sinistro) non nascondo che sognerei di indossare un 12, pur senza giocare in porta. E dato che in Italia non si può fare, andrei all’estero. Eh, già, perché nel campionato italiano, sinceramente, in questo momento chi ci vorrebbe stare?! A questo europeo, credo per la prima volta nella storia della nazionale italiana, il numero 12 se l’è preso Marco Borriello, un attaccante.

Sono arrivato al dodicesimo post e, a parte qualche piccolo dettaglio per mera sopravvivenza, tutto è come splinder me l’ha dato. Saria ora de meterghe le man!
Propositi del giorno (mese, anno, secolo):
– xontare un fià de link, al manco cuei dei mie amici e i mie;
– meterghe una foto al posto de chel punto de domanda live, che’l xe oribile… al manco cambiarghe punto de domanda;
– colorire un fià diferente (ma no xe un punto indispensabile);
– darghe fantasia ai tag;
– sopratuto, trar via chea stilo che me la smascia tuto el blog e ficarghe n’imagine un fià mejeto.

Solo che, per questo ultimo punto, sono a zero di fantasia. Si accettano idee, grazie.

(Traduco per chi non avesse capito l’ultimo FONDAMENTALE punto: accettasi suggerimenti per sostituire la stilo qui sopra con qualcosa di più carino. Grazie. E se no gavivi capio, no a xe mia colpa mia se no savì la me lengua! (Mascio can!))

{
Se qualcuno a questo post vuole commentare: non ti alterare, ringrazia che sono stato così buono a passare di qua, rispondo già: scusa, hai ragione
[punto]
[firma]
[e un P.S.:]
Rimane el fato che in tel “copeve tuti” fra chei tuti te ghe si anca ti 😛
}

Tempo di profezie?

Aggiungo alla lista dei miei successi in FM 2008 un europeo appena vinto con l’Olanda. Questa la formazione che ha battuto 2-0 la Spagna in finale:
Stekelenburg; Kromkamp, Boulahrouz, Hofland, van Bronckhorst; Landzaat, Engelaar; Robben, van der Vaart, Babel; van Persie. Gol del capitano van der Vaart e di van Persie, entrambi nel primo tempo.
Ma la partita più esaltante è stata la semifinale contro l’Italia: 3-3 al 90′, 6-3 alla fine dei tempi supplementari, con Robin van Persie mattatore della serata grazie alla sua doppietta.

E chissà che tutto questo non sia profezia per l’europeo che si sta svolgendo nella realtà. Finora l’Olanda è di diritto fra le tre migliori squadre ammirate in queste due settimane.

I vecchi tempi

Lo so che un post sul tempo è abbastanza squallido (e forse attuale da troppo tempo), però mi sento di farlo. Rimpiango i vecchi tempi, quelli nevosi d’inverno e caldi d’estate, col verde che esplodeva in primavera e i primi cristalli di gelo nell’aria di novembre.
Dire che di tempi e stagioni non si capisce più niente è un eufemismo. Da un mese non ci sono due giorni consecutivi senza pioggia e nonostante il calendario annunci l’estate in arrivo sul binario 21 fra sette giorni nulla fa pensare che sia veramente alle porte (eccetto io che vado a lavorare coi pantaloni corti, ma quello è più un fattore di stile).
Non esistono più le mezze stagioni.
Neanche quelle intere.
Mi chiedo alle elementari (o si chiamano scuole primarie? Non è che si sono messi anche a colorare i grembiuli dei nanerottoli? Ma dalla prossima riforma sQuola si scriverà con la Q?) cosa insegnano le maestre ai bambini. O meglio, in che materia è prevista la spiegazione delle stagioni. Se in scienze, o in storia.
“Tanto tanto tempo fa, all’epoca dei vostri avi, (quando ancora quei barboni credevano che la Terra fosse piatta e l’uomo preistorico andasse in giro con la macchina dei Flinstones) il tempo e la vita erano scanditi dalle stagioni. Oggi naturalmente (e naturalmente è la parola che mi preoccupa di più, dato che non c’è nulla di naturale) queste cosiddette “stagioni” (detto con aria sbruffona e insipiente) non esistono più. Ma chi di voi o bimbi sa cosa sono le stagioni?”
Al che Pierino, come in quelle storiche barzellette di tempi in cui gli scolari ancora avevano quell’usanza demodé di alzare la mano per parlare, dopo aver ricevuto la parola dalla maestra dice: “La stagione è dalla prima all’ultima giornata di campionato”
Che non è una barzelletta, infatti non fa ridere, ma la triste realtà.

Poi un giorno dopo venti giorni di pioggia ininterrotta mi scrive mio fratello da Londra: “Qui è due settimane che non piove”
“Ah, ecco dov’era finito il sereno…”

Sì, insomma, sarebbe bello se riuscissi a vedere almeno un’altra primavera, nella mia vita.