Articoli e salviette

Questa mattina i bagni degli uffici erano tappezzati di fogli A4 attaccati con nastro da carrozziere su porte, pareti di lamiera e sulla cassettina delle salviette asciugamani (hanno avuto l’accortezza di non invadere lo specchio, almeno) che neanche la crapetta ex-pelata di Berlusconi in campagna elettorale è capace di saturare lo spazio visivo così esageratamente. Il contenuto di questo avviso era esattamente:

Nota bene:

Non usare salviette grigie
in quanto si intasa il cesso!!!!!!!

Non voglio far notare con questo post il linguaggio scientifico forbito ("in quanto") né l’uso del punto esclamativo (usato sette volte, numero che trova alcuni riscontri nella letteratura: di solito, quando non si fa impiego di un solo punto, si tende ad utilizzarne semmai tre, numero già ampiamente protagonista nello scritto antico più famoso della letteratura italiana, la Divina Commedia, ove quasi tutto è regolato dal tre e dai suoi multipli; da notare però che i versi sono comunque di endecasillabi, che spesso, in altre strutture metriche della letteratura italiana, si combinano con settenari, settenari che ritroviamo ad esempio nei versi del Petrarca o del Leopardi (ma ora stiamo divagando un po’ troppo… quante questioni per sti sette punti esclamativi!)).
Già a una prima lettura sorge spontanea la domanda: non posso usare le salviette grigie nemmeno per asciugarmi le mani o mi posso limitare a non gettarle nel cesso ma nell’apposito cestino?
Ma ciò che mi ha veramente spiazzato è la mancanza dell’articolo determinativo LE prima di "salviette grigie". A onor di cronaca (dettaglio parallelo al filo conduttore del post) nei bagni degli uffici ci sono solo salviette grigie asciugamani e carta igienica fra gli oggetti biodegradabili buttabili nel cesso (esclusi i prodotti organici umani). Il tipo di salviette da non usare è quindi univoco per chi frequenta questi cessi (avrei comunque usato una dicitura del tipo "le salviette asciugamani" per maggiore correttezza), ma la mancanza dell’articolo determinativo LE porta a credere che non siano di per sé le salviette a intasare il cesso, ma che il problema risieda nel loro colore. Ovvero: "Prima di gettare una salvietta nel cesso verificate che non sia grigia" e relativa soluzione: "Se la salvietta è grigia dipingetela di blu, così non si intasa il cesso".

Poi potremmo aprire anche un capitolo sulla morbidezza delle salviette in oggetto… ma anche no.

Il trasporto (con epilogo a scelta)

Da piccolo (ma ora sono grande?! no no, sono solo grosso :-P) facevo classifiche su tutto. Facevo almeno il podio di tutte le mie cose preferite (musica, cibo, colori…). Oramai non riesco più a stilare classifiche: sono troppe le sfumature e le diversità per preferire una cosa rispetto a un’altra (fra quelle che mi piacciono).
Ad esempio, parlando di musica (perché parlare di musica? Beh ovviamente perché l’argomento di questo post è "musica". Se fosse stato "cinema" avrei parlato di cinema) trovo letteralmente impossibile dire quale sia il mio gruppo preferito. Sono molti i generi che mi piacciono, e anche all’interno dello stesso genere ogni gruppo ha una particolarità che me lo farebbe preferire in confronto agli altri: perciò non ho un gruppo musicale preferito, ma sicuramente c’è un’êlite dei miei favoriti (da notare la "ê").
E sicuramente nel mio personalissimo Olimpo musicale ci sono ben radicati (e si trovano pure bene, perché sembra che abbiano comprato casa) i Dredsen Dolls.
Questa mattina ho messo il loro album omonimo nell’autoradio e…

Good Day
Girl Anachronism
Missed Me
Half Jack
672

… finché, mentre cantavano Coin-Operated Boy, ero talmente trasportato e preso dalla loro musica che mi sono dimenticato di prendere la mia uscita lungo la superstrada.

Com’è andata a finire? A voi tre possibili epiloghi (tutti al passato remoto) e la possibilità di scegliere quale ritenere più credibile, se uno, due, tutti e tre oppure nessuno.

EPILOGO HOLLYWOODIANO LINEARE

Il vostro eroe, resosi conto della svista, non si lasciò prendere dal panico ma imboccò l’uscita successiva, in parte contento di avere l’opportunità di imparare una nuova strada. Inizialmente si sentì un po’ sperduto, ma il senso dell’orientamento di cui era stato dotato con buona sorte dalla natura lo guidò attraverso la fitta rete viaria fino a quel momento ai suoi occhi inesplorata. Sembrava che ormai le speranze di trovare la retta via fossero perdute, quando giunse al suo sguardo lontano nell’orizzonte un tratto di strada familiare. Non esitò a raggiungerlo e, se pur con qualche minuto di ritardo nella tabella di marcia, intraprese nuovamente la strada che abitualmente lo accompagnava a lavoro.
Ma il tempo era tiranno come non mai, e il traffico non lo aiutava. Arrivò di fronte al portone col motore ancora su di giri, smontò dalla macchina e tentò di aprire la maniglia antipanico, ma proprio quella mattina essa aveva deciso di ribellarsi. Il vostro eroe comunque non demorse, con un abile movimento della mano riuscì a disincastrare il meccanismo e si tuffò all’interno del corridoio, dove la timbratrice stava per scoccare gli ultimi decisivi secondi. Aprì la cerniera della tasca, estrasse il badge e lo infilò nell’apposito pertugio quando l’orologio segnava le 8.15.59. Ancora un secondo e sarebbe stata la fine!
(Fra l’altro OVVIAMENTE il vostro eroe trovò ad aspettarlo una bionda da paura distesa in costume da bagno sul tavolo al posto del computer)

EPILOGO DEL PIRLA

Il protagonista riprese la concentrazione improvvisamente e, colto da raptus, optò per un’inversione a U con supporto di freno a mano. Ma essendo un po’ pirla e per niente avvezzo a tale tipo di manovre, la macchina (una Fiat Idea non è esattamente il tipo di macchina con cui improvvisare un rally) cappottò e fu travolta da un camion che passava in quel momento nel lato opposto. Del protagonista sopravvisse solo la sua vena autoironica, quel tanto che bastò per permetterle di scrivere questo post.

EPILOGO FANTASCIENTIFICO

Nemmeno il tempo di accorgermi della svista che vidi uno strano oggetto muoversi nel cielo e un fascio di luce aprirsi poco più avanti nella strada. Inchiodai, ma l’asfalto era bagnato e l’ABS non bastò per impedirmi di piombare nel cono luminoso. Sentii gli oggetti dissolversi e il mio corpo trasportato verso l’alto da una strana forza, una forza che non avevo mai sentito né visto agire prima di quel giorno.
Degli strani esseri mi stavano aspettando all’interno di un locale troppo tecnologicamente avanzato per essere stato ideato dall’homo sapiens del primo XXI secolo. Avevo già perso ogni cognizione del tempo e dello spazio, anche se mi sembrava di riconoscere (ritrovando quell’immagine in chissà che cassetto della memoria), buttando l’occhio fuori da una finestra, le sembianze del pianeta Terra. In quel momento svenni.
Quando tornai in me udii voci aliene parlarmi dentro il mio cervello. Nessuno degli esseri che avevo intorno muoveva la bocca (che non avevano), ma il tracciato uditivo era forte e chiaro: avevano inserito delle onde sonore suggestionali nella canzone in modo da farmi andare dritto e poter prendere a prestito il mio corpo per qualche nanoistante bidimensionale di tempo. Mi promisero che mi avrebbero lasciato andare, a patto che avessi svolto una missione, ed è questa missione che vengo a svolgere oggi. Portare attraverso il mio blog un messaggio alieno a tutti i terrestri:
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