Guadagnarsi da vivere

Ci sono locuzioni che spesso usiamo normalmente senza pensare alla portata del loro significato. A volte mi piace soffermarmi a pensare a queste. Una è, ad esempio, “guadagnarsi da vivere”.

Mi fa tornare indietro con la memoria a quando, a noi bambini, si chiedeva “Cosa vuoi fare da grande?”, domanda che più banalmente si poteva tradurre in: “Che lavoro vuoi fare da grande?” Non era una domanda volta a conoscere semplicemente delle attività che il bambino avrebbe voluto fare da grande, e lo si capisce dalle riposte che venivano inculcate a questi bimbi e che poi ripetevano a memoria: chi rispondeva “il pompiere”, “la hostess”, “l’avvocato”, “il poliziotto”… io, non avendo obiettivi professionali, non sapevo come rispondere. Per quanto ci fossero cose che effettivamente da grande avrei voluto fare, ad esempio volevo capire il funzionamento dei buchi neri, programmare un gioco per il computer e giocare a calcio, non ero sincero nel dire che avrei voluto fare “l’astrofisico”, “il programmatore di giochi per PC” o “il calciatore”.

È un meccanismo attraverso il quale il nostro desiderio, la nostra ambizione, la nostra passione, vengono indissolubilmente legati al bisogno di guadagnarsi da vivere. Sostanzialmente già da piccoli si finisce ineluttabilmente per collegare le attività, la vita stessa, con il denaro, e di conseguenza il denaro e le attività che si svolgono per guadagnarlo con la persona.

Non è così tragico, se si pensa che il lavoro e il denaro sono ineluttabili e se si considera che poter svolgere una professione che piace suona più come una fortuna che come una condanna. Ancora, quasi tutti noi occidentali possiamo chiamarci fortunati perché stiamo ancora, nonostante tutto, guadagnando più che da vivere: ci guadagnamo Sky, le birre con gli amici, la gita all’estero, l’iPhone, l’ADSL… tutte cose che vanno ben oltre la mera sopravvivenza.

Ma, tornando nel seminato e tornando alla mia vita, qui lo dico e qui lo nego, e lo nego con forza, disgusto e digrignando i denti: Io da grande voglio fare lo scrittore. Scrivere è la cosa che mi piace di più al mondo, perché scrivere non è solo lasciare inchiostro su carta. Scrivere è un momento spirituale: costruisce un ponte fra dimensioni, perché scrivendo si creano mondi, persone, situazioni, accadimenti dal nulla semplicemente tramite l’ispirazione e la fantasia. Perciò anche ascoltare musica, guardare un film, conoscere una persona, assistere a un momento di vita, in realtà qualsiasi cosa induca un’ispirazione e stimoli la fantasia, è scrivere.

E scrivere, con tutto quel che concerne, mi piace. Oh sì! Se penso alla possibilità di potermi dedicare a questa attività a tempo pieno anziché in ritagli serali o nel weekend e senza preoccuparmi della sopravvivenza, cioè di come racimolare il denaro che serve per compare il pane – carburante per il motore che muove la penna, perché questo bisogno viene soddisfatto proprio grazie al frutto di questa passione, beh, sembra veramente qualcosa di grosso, qualcosa che avrebbe del miracoloso.

Eppure stride. Stride, c’è qualcosa di grossolanamente sbagliato in tutto questo. C’è che quando siamo nati non abbiamo pagato una tassa d’ingresso a Dio* o a Madre Natura né ci è stato dato un prestito per poter iniziare l’attività. E quando moriamo non ci viene restituita nessuna cauzione né ci viene presentato il conto del soggiorno.

In natura la vita non ha alcun tipo di collegamento con il denaro, né il denaro lo ha con la vita. Il denaro non è causale di vita, perciò vendere giorni di vita e di sopravvivenza (due cose terribilmente lontane eppure vicine) per denaro è un’orribile atrocità e un bieco e perverso sopruso.

E come il denaro, la scrittura non è causale di vita. Ecco perché nego, nego assolutamente, di voler fare lo scrittore, da grande: io non voglio guadagnarmi da vivere attraverso la scrittura, io voglio vivere e scrivere**. E non mi accontento: voglio vivere nei mondi che credo, con le persone che invento, con tutta quella musica e quell’arte che mi ha ispirato come parte integrante dell’aria che respiro.

Legare la creazione di mondi fantastici e personali alla vita e alla sopravvivenza nella realtà attraverso la morsa del denaro sarebbe una grottesca condanna. Però bisogna fare i conti con la realtà, e la realtà è*** che, per quanto possa rifugiarmi in mondi immaginari, sono fatto di carne e ossa e appartengo al mondo reale, sono reale e in quanto tale ho bisogno di mangiare, di bere, di soddisfare i vari bisogni e questo passa necessariamente attraverso il denaro o comunque un lavoro, perché questa è la realtà.

Ma a me la realtà non interessa. Non è di mia competenza, non mi riguarda.

Non sono ancora arrivato a creare mondi stabili e durevoli nel tempo, per ora durano al massimo qualche mese: mesi fantastici, di alienazione dalla realtà. Cose da pazzi? Ma l’obiettivo definitivo e totale è proprio questo.

Cosa voglio fare da grande?

Ecco la mia più grande ambizione professionale, ora ho deciso: voglio diventare pazzo! Estraniarmi totalmente dal mondo reale, togliere le radici da un mondo in cui la possibilità di sopravvivervi sia legata al possesso del denaro. Lavorerò per questo, sto già lavorando per questo. Voglio diventare pazzo. Oh sì! La pazzia, la pazzia sarà il mio modo di guadagnarmi da vivere, di guadagnare la mia vita!

 

* Credere o meno in Dio non cambia il filo del ragionamento: qualsiasi sia la causale sondabile o insondabile della vita, essa non è legata al denaro.

** Con particolare riferimento alla dipendenza della seconda rispetto alla prima.

*** Cosa possa essere veramente reale e in che dimensione, e quanto la realtà dimensionale conti all’interno del “tutto”, dovrebbe essere considerato in un altro articolo.

6 commenti su “Guadagnarsi da vivere”

  1. Concordo sull’insensatezza del denaro … personalmente sarei anch’io poco propenso a barattare 8 ore della mia giornata in cambio delle comodità moderne a cui potrei fare benissimo a meno. Basta crescita W la decrescita …

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  2. Ma guarda, non è neanche questione di comodità. Le comodità moderne o antiche sono un desiderio naturale dell’uomo (o preferisci stare scomodo?) e in quanto naturali non dovrebbero passare attraverso il denaro.

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  3. Per comodità moderne intendo la tecnologia, vestiti all’ultima moda , i cibi fuori stagione … è ovvio che per esistere qualcuno deve produrle e visto che mi faccio 8 ore in catena di montaggio per produrle è ovvio che voglio essere pagato …e si torna al denaro … è un circolo vizioso … certe cose non possono che passare attraverso il denaro o mi sbaglio ? Che alternativa c’è ? … poi comodità e scomodità sono punti di vista personali … non starei certo più scomodo senza cellulari, tv o quant’altro se in cambio potessi essere veramente libero e fare ciò che mi piace come per te è lo scrivere. ( cmq il tuo articolo è scritto bene : ) )

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  4. È l’esistenza del denaro che ti porta a dover scegliere fra le comodità e le passioni. Alternative concrete? Beh, la conosci meglio di me. Tutto il resto sono solo idealizzazioni. La mia alternativa l’hai letta qual è: la pazzia.

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  5. complimenti… veramente un peccato a volte non poter fare le cose che più ci vengono spontanee e curare le nostre passioni perchè legati a un sistema che ci impone degli obblighi che non sono nostri.

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