«Il futuro è verde!» recita il moderno adagio. La green economy non è mai andata di moda come ora, sebbene sia roba da ricchi, dato che usare la macchina elettrica, mettere i pannelli fotovoltaici sul tetto e costruire una casa in paglia costa più del corrispondente inquinante – e non si sa ancora quanto green sia smaltire la batteria esausta di una macchina elettrica o un pannello fotovoltaico da dismettere, ma questa è una considerazione che lascio ai ricchi che hanno soldi per non inquinare.
Greta Thunberg si è fatta voce di una coscienza globale che si divide fra le ataviche paure per la fine del mondo – va bene preoccuparsi, ma cinque miliardi di anni di anticipo mi sembrano eccessivi, suvvia! – e un delirio capital-comunista chiamato “progresso” da cui la nostra civiltà è posseduta, legittimata dall’altro adagio, quello un po’ meno moderno, secondo cui «l’uomo è l’animale più evoluto».
Se il primo adagio mette d’accordo più o meno tutta la popolazione terrestre – esseri umani esclusi -, il secondo lascerebbe perplesso qualunque gattino, persino addomesticato, tanto più un animale selvatico, tanto più una pianta, tanto più una pianta selvatica.
Nell’equilibrio dell’ecosistema l’albero è l’essere più evoluto, e questo lo pensavano anche gli antichi: consuma poche risorse e produce tantissimo, e soprattutto qualunque prodotto di scarico dell’albero, e del regno vegetale in generale – dall’ossigeno alle foglie secche – è indispensabile alle altre forme di vita. Alberi e piante in generale hanno bisogno di pochissimo, si accontentano di qualche insetto che impollini; soltanto quelle addomesticate, cioè coltivate, hanno costante bisogno di cura. Chissà perché.
Anche gli animali selvatici, nel loro continuo cacciarsi e predare, riescono a mantenere un certo equilibrio. Anche se non impollinano, non arano la terra – eh sì, insetti e vermi sono più utili di un leone – inquinano relativamente poco, hanno un servizio di pulizia piuttosto efficace – gli avvoltoi e gli altri saprofagi – e tutto sommato anche gli escrementi sono leggermente fertilizzanti.
Gli animali domestici invece sono un’emanazione dell’uomo, e infatti inquinano molto – vedi i gas serra emessi da vacche e maiali – e sono utili solo all’uomo.
L’uomo, invece, non si capisce nemmeno a cosa serva, nell’ecosistema: inquina moltissimo, depreda ogni risorsa, lascia prodotti di scarto che tornano a essere utili dopo milioni di anni, semina caos e distruzione, rimbecillisce piante e animali, rende più forti i “nemici”. Il meglio che riusciamo a imbastire è un’economia circolare approssimativa, incompleta e che necessita di molte, costose e inquinanti tecnologie per funzionare. Basta confrontare in due secondi la nostra economia circolare con quella dell’albero per farci un’idea di quanto siamo evoluti e intelligenti. Se l’albero volesse riderci in faccia lo farebbe. L’ambientalismo verso cui, nell’eco della voce di Greta Thunberg, zoppichiamo oggi non è un vero ambientalismo: quando diciamo «facciamo qualcosa per questo pianeta» non abbiamo veramente una pallida idea di cosa possiamo fare per il pianeta, siamo solo in grado – forse – di limitare un pochino quello che facciamo contro.
Più che il vertice della piramide evolutiva che procede a grandi falcate verso il progresso, sembriamo un relitto evolutivo talmente stupido da non riuscire nemmeno a estinguersi.
Ecco, in quest’ottica vedo molto più etico il cannibalismo del veganesimo e la guerra rispetto alla caccia.