Realtà oniriche vs Realtà universali: le dimensioni di una menzogna

In questo articolo faccio i conti con la realtà. O con le realtà, per meglio dire.

Gli esseri umani sono (per natura? per cultura?) estremamente legati e radicati al concetto di realtà, soprattutto di realtà singola. All’interno di una dimensione, o di un singolo sistema dimensionale, questo schema di pensiero è sensato e razionale. Ma in un macrosistema multidimensionale assoluto, in un “tutto” certo e definitivo, quanto è reale la realtà?

Specifico anzitutto una cosa, onde evitare confusione dovuta al significato multiplo del termine “dimensione”. Quando parlo di “dimensioni”, al plurale, intendo le tre misure spaziali (lunghezza, larghezza e profondità), la misura temporale e qualsiasi altra misura si voglia dare* allo spaziotempo. Quando invece parlo di “dimensione”, al singolare, intendo un sistema dimensionale, cioè un sistema nel quale determinate dimensioni trovano riscontro.

Non si può formulare una risposta certa e definitiva alla domanda di cui sopra, non credo neppure che esista proprio in virtù della multidimensionalità del “tutto”, e se anche esistesse non credo che un cervello umano – di certo non il mio – sia in grado di elaborare una Legge in proposito.

La teoria che posso però formulare è questa: La realtà non esiste.

Esiste però la percezione della realtà, una percezione legata all’appartenenza alla realtà stessa. Chiunque stia leggendo questo articolo ha la certezza, nel dato momento, di essere vivo. Ma è vivo veramente? Egli fonda questa certezza sulla percezione di essere parte della realtà, ma una realtà limitata alla sola dimensione, quella materiale, l’Universo, di cui fa parte. In altri livelli dimensionali non solo non esiste il lettore di questo articolo (né lo scrittore) ma nemmeno la realtà a cui il lettore sente un forte senso di appartenenza è reale. Ciò che in questa dimensione è reale in altre dimensioni è irreale e totalmente sconosciuto.

Ma faccio un esempio per semplificare questo contorsionismo mentale.

Si pensi a un sogno. Tutti i materialisti – e fondamentalmente quasi tutta l’umanità – fanno una netta distinzione fra il sogno e la realtà, a sottolineare la reale esistenza del sogno in quanto dimensione, ma anche l’irreale contenuto dello stesso, le sue dimensioni. Ciò che accade in un sogno non accade veramente, questo è ciò che sappiamo, che ci è stato insegnato o che abbiamo riscontrato attraverso la nostra esperienza. Tuttavia per chi sta sognando, e per i personaggi del sogno, il sogno è reale. Si supponga di essere svegli ed entrare nella stanza in cui una seconda persona sta sognando. Questa persona si trova materialmente lì, immobile, e nel contempo si trova all’interno di un altro livello di realtà con delle dimensioni spaziali e temporali proprie e certe e ha una percezione di quella realtà che chi è sveglio non ha. Quest’ultimo non vede che una stanza, che per giunta sarebbe troppo piccola per contenere le dimensioni del sogno, se esse fossero reali anche per chi è sveglio. Chi è sveglio non vede alcun sogno non perché il sogno non esiste ma perché il sogno si trova in un’altra dimensione, le cui dimensioni, nella dimensione di chi è sveglio, non hanno alcun significato né alcun valore.

Si proietti ora tale subrealtà onirica a un livello superiore, alla realtà materiale, o universale. Supponendo si possano misurare le dimensioni dell’Universo: x metri** • y metri • z metri le dimensioni spaziali, t anni la dimensione temporale, a, b eccetera qualsivoglia dimensione si voglia aggiungere, queste dimensioni sono reali all’interno della dimensione universale. All’esterno di tale dimensione, però, le dimensioni dell’Universo perdono il loro significato e l’Universo stesso si potrebbe esplicare con una definizione simile a quella di un punto geometrico, cioè un’entità adimensionale, il cui contenuto viene dissolto per mancanza di dimensioni. La percezione di ciò che noi crediamo e definiamo reale da un livello dimensionale superiore è simile a quella di un sogno quando si è svegli: qualcosa di irreale, di impercettibile.

Non sono in grado di sapere né immaginare quante dimensioni ci sono, se sono davvero organizzate in livelli e sottolivelli*** e in che livello dimensionale siamo. Potenzialmente sono infiniti. Se per ogni livello la realtà è circoscritta a quel livello soltanto e la nostra capacità di interagire con altri livelli è limitata a quelli immediatamente vicini, come possiamo stabilire noi dal bel mezzo del nulla cosa è veramente reale?

Io ho smesso di chiedermi cosa è reale e cerco di non fare mai i conti con la realtà. Come ho già spiegato, la realtà non è il mio campo e non mi interessa. Sto lavorando per rendere stabile un microsistema bidimensionale. Credo che già questo sia “tanta roba”.

Non voglio insegnare a nessuno a quante dimensioni si debba credere, l’unico consiglio che mi sento di dare è di diffidare da chiunque dica che “la realtà è questa”: tale individuo mente. E se anche avesse ragione, non ha prove per dimostrarlo.

 

 

* Lascio ai fisici teorici trovarne il numero, a me non interessa. Non è vero, sono molto interessato a livello conoscitivo, ma l’eventuale moltiplicarsi del numero delle dimensioni non mi tange significativamente.

** O anni luce, o parsec, l’unità di misura non ha nessuna importanza.

*** Questa è la mia forte sensazione.

Tecniche di ringiovanimento esadecimale

Cos’ha il 30 di diverso rispetto al 29 o al 31?
Ne ho parlato (anzi, chattato) pochi minuti fa con un ventottenne terrorizzato all’idea che fra due anni entrerà negli -enta. Certo, fra due anni avrà due anni in più di oggi, questo fa parte dell’innegabile e inevitabile decorso del tempo sul pianeta Terra e certo, a trent’anni sei più vecchio che a ventotto e dato che una volta passati i diciannove nessuno aspira ad aumentare la propria età (eccetto negli U.S., dove si aspira fino ai 21, età per bere in santa pace e serenità) avere trent’anni piuttosto che ventotto non interessa a nessuno.
Ma allora cos’è che rende così funesti i trenta, e peggio ancora i quaranta, anni? Perché non lo sono altrettanto i ventinove o i trentuno anni? Perché si accetta con più serenità il trentaduesimo compleanno che non il trentesimo?
Perché a trent’anni si entra negli -enta, mentre a trentadue mancano ancora otto per gli -anta, troppo presto per pensarci e farsi molte paranoie.
E questo è ovvio, scontato e banale: si concludesse qua, questo post non avrebbe senso (no, perché invece proseguendo il senso ceeeeerto che ce l’ha!).

La domanda è: Qual è il vero motivo di questo paradosso psicologico?
Cause e concause del fenomeno devono ricercarsi nell’educazione in base dieci che riceviamo. Sin da piccoli ci hanno insegnato a contare – e non solo: a ragionare – in base dieci. È vero, il tempo lo scandiamo in basi sessanta, ventiquattro eccetera, però guarda caso usiamo numeri e cifre che si basano sul sistema decimale inculcatoci con tanta leggerezza sin dalla tenera età. Praticità? Cultura? Tradizione?

Ora, trentenni, provate a riformulare la vostra età con numeri esadecimali (se non sapete cosa significa sistema numerico esadecimale potreste scrivermi e aspettare una mia risposta OPPURE, come ha fatto il ventottenne di cui sopra, andare a leggervelo su Wikipedia): la vostra età è 1E. Un numero esadecimale come un altro, praticamente.
E voi, quarantenni avviliti e terrorizzati per essere entrati nella lunga era dei famigerati -anta, ricalcolate la vostra età: 28. E non vi mancano solo due anni per arrivare ai 30, ma bensì otto (gli stessi che mancano a un trentaduenne per arrivare a quaranta), otto lunghissimi e felicissimi anni. Pensate che avrete 40 anni solo quando compirete sessantaquattro anni di vita.

Non cambia letteralmente la vita un modo di pensare esadecimale?

CONSIDERAZIONI PSICOSORRISOLOGICHE

Anche se lo scorrere del tempo rimane oggettivamente identico qualsiasi sia la base numerica in cui lo calcoliamo, la “diluizione” delle tappe che influenzano il nostro umore vanno a incidere in senso positivo sia per giovani che meno giovani: si consideri l’opportunità per un ragazzo di raggiungere la maggiore età (e la patente!) a soli 12 anni e l’atteggiamento di un uomo che, dopo mezzo secolo di vita, ha la percezione di avere ancora tante energie avendo solo 32 anni. La percezione parallela (no, non chiamiamola distorta!) della realtà stimola la mente a pensare in modo ottimistico, e chiunque si rende conto di quanto l’ottimismo influisca positivamente sulla vita di tutti i giorni.
È proprio vero: l’ottimismo è il profumo della vita!

COROLLARIO CINICO

L’incedere del tempo vi consumerà in egual maniera. Che pensiate di avere 50 anni (decimale), 32 anni (esadecimale) o 110010 anni (binario), la realtà è che siete nella fase discendente della vostra vita e che, se non fate parte di quello 0,019% di popolazione italiana che supera il secolo (dei quali solo il 17,6% è di sesso maschile), avete davanti meno vita di quella che avete già vissuto.
E ricordate che l’imprevisto è sempre in agguato!

IMPLICAZIONI GROTTESCHE

Il lato grottesco della faccenda è morire di vecchiaia a 64 anni.
Con tanti complimenti da Gerry Scotti, per di più!

Ecco perché il leprotto bisestile e il cappellaio matto erano dei geni

(Certo che scrivere un post riguardante il 29 febbraio il 19 marzo è un po’ anacronistico…)

Già dal 45 a.C., primo anno bisestile della storia (per gli ignoranti: già allora si era capito che un anno solare non dura esattamente 365 giorni ma circa 365 giorni e 6 ore, ecco perché aggiungere un giorno ogni quattro anni), gli antichi si ponevano l’arcano dubbio: quand’è che Gloria avrebbe compiuto gli anni nell’Anno Domini 2009, essendo ella nata il 29 febbraio?
Questa domanda scatena altri arcani dubbi nella mente dei pensatori fino all’età post-moderna. Il calendario giuliano fu sostituito nel 1582 da quello gregoriano con la regola che gli anni bisestili sono i multipli di 4 ma fra i multipli di 100 lo sono solo i multipli di 400. Ma anche questa regola non è del tutto corretta, perché un anno solare dura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi, cioè 365,2422 giorni. Il calendario gregoriano quindi è troppo lungo di 26 secondi all’anno, che producono un giorno di troppo ogni 3323 anni; quindi i nostri discendenti per recuperare saranno costretti a sopprimere un giorno (poverino!) nel 4905.
Entro quell’anno si potrebbero apportare ulteriori riforme, ad esempio escludendo dagli anni bisestili quelli multpli di 4000 si arriverebbe a uno scarto di 4 secondi di troppo all’anno e una durata media di 365,24225 giorni. Meglio ancora porre che gli anni multipli di 100 siano bisestili se prendendo il numero dei secoli e dividendolo per 9 il resto è 2 oppure 6: così facendo si ridurrebbe lo scarto a soli 2 secondi all’anno. Vince però la regola secondo cui non sono bisestili gli anni multipli di 4000 e 10000: in questo modo un anno mediamente durerebbe 365,2422 giorni, cioè la durata esatta di un anno tropico (o solare) medio.
(Olè!!!)
Tutti i complessi di inferiorità del genere umano nei confronti della rotazione della Terra attorno al sole sarebbero quindi risolti… invece no, perché la rotazione terrestre sta rallentando per colpa delle maree (e per sicurezza diciamo che è anche colpa del sistema, così andiamo sul sicuro), fenomeno che impone di aggiungere ogni circa 18 mesi un secondo agli orologi andando però a sballare l’anno gregoriano medio. Per giunta, a causa del movimento degli altri pianeti del pianeta solare e della precessione degli equinozi, l’anno tropico diminuisce secondo l’equazione Δt = -6.162 10^-8 * y (dove y sono gli anni giuliani a partire dal 2000). Già il 1° gennaio 2000 infatti l’anno tropico medio non era più di 365,2422 ma solo di 365,242189670 giorni, indi per cui è vano applicare persino la regola dei multipli di 4000 e 10000 per arrivare alla perfezione.

Ecco perché il leprotto bisestile (mica a caso, questo nome) e il cappellaio matto, attenti astronomi, decisero di non porsi ulteriori problemi bisestili e, anziché festeggiare il compleanno della Gloria, festeggiare ogni giorno il suo non compleanno.
Geniali, no?

a + r = 25

Scrivo questo post ma sono troppo eccitato e non so da dove cominciare.
Comincio dal nuovissimo Teorema della Guinness appena pronunciato secondo cui a + r dà 25 (euro).
25 (venticinque) euro per andare e tornare da Dublino con Ryanair, venticinque euro e sei lì, a Temple Bar, a bere la birra più buona del mondo nel punto del mondo in cui il suo gusto sfiora il divino.
Troppo bello per essere vero, dico sabato pomeriggio in chat con Valeria. Lascio perdere perché ci vado a fare cosa in Irlanda a gennaio da solo al freddo e al gelo? Ne parlo quasi per sbaglio con qualche amico sabato sera al ristorante e la Sefora (che ama la buona birra quanto e forse più di me) mi si illumina d’immenso, guarda suo marito implorando con gli occhi "Andiamo?" e lui "Ovvio che ci andiamo!", e così decidiamo di andarci tutti. 25 euro, due sere, e chi se ne frega. Ci diamo conferma domenica. Chiedo anche alla Silvia se vuole venire con Icio e la Francy: certo che vuole venire! Chiedo alla Valeria: c’è anche lei. Siamo in tredici da qua più mio fratello da Londra, ma lui si arrangia.
OK, ragazzi, ora si tratta "solo" di comprare sti biglietti.
No go schei! 😐 25 x 13 = 325, 325 euro, e chi ce li ha? Mamma, ce li hai 325 euro nel conto corrente? Seeee va là! Io? Sì, io sì (ma solo perché ho appena preso busta), ma la carta di credito ricaricabile Visa Electron (così si risparmiano 5 euro… che sparagnin!) è legata al conto corrente suo. Vabbè, che problema c’è? Basta andare in centro, prelevare 325 euro dal mio conto, versarli nel suo tramite lo sportello automatico dei versamenti, andare a casa, effettuare la ricarica della carta e comprare i biglietti sperando che non abbiano alzato i prezzi (perché, n.b., mi è già successo una volta di guardare la mattina e c’era un prezzo e il pomeriggio quando mi sono appropinquato a comprarli erano aumentati di 30 euro) perché se no salta tutto, che cavolo!
E invece no. I versamenti non funzionano. Funzionano sempre, quando non servono, ora che ne ho disperato bisogno (disperato? Sarò mica alcolizzato?!?!) invece non vanno. Porca miseria! Mamma, domani mattina va in banca, per favore, va in banca e e versa sti benedetti soldi che ho troppa caga che mi tirino su il prezzo stasera, figurati domani.
Mattina di oggi porto la carta di credito a lavoro, non si sa mai. Mamma spicciati con la banca… sto in ansia due ore e poi mi contatta su gTalk e mi fa: "Carta di credito non attiva" "Coooooosa?!?!?!" "Il servizio telefonico dice che non è attiva" "Mamma sei già andata in banca?" "No" "Filaaaaaaa!" Mamma parte per la banca. Passano le ore, giorni, mesi anni generazioni secoli millenni ere geologiche… Non nella sede centrale a Roma, mamma, va bene anche l’agenzia qui in centro!!!
E poi, finalmente, quando i capelli mi sono diventati tutti bianchi e con la barba pulisco il pavimento, "Sono tornata dalla banca, la carta è attiva" "Ricaricata?" "No" "…" Comincia a crescermi l’edera su per le gambe. "Fatto" Evvai! Ora sito di Ryanair e preghiamo in samoano che che non abbiano alzato quei prezzi.
A + R, Treviso, Dublino, 28 gennaio 2009, 30 gennaio 2009, Adulti: 11, Minori di 16 anni: 2. Invia. 315,51. Cosa vuol dire? Prendi la calcolatrice, 315, 51 diviso 13 quanto fa? 24,27. Non ci credo. Rifaccio. Prova del nove. Prova del dieci. Prova dell’undici. 24,27. 24,27 < 25 euro, giusto? Ci siamo? Invia. Scrivo i nomi, tredici nomi uno in fila all’altro. Check-in on line. Assicurazione di viaggio non richiesta. Invia. Dati della carta di credito. Invia. Si prega di attendere, potrebbero passare 45 secondi.
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4
5
Dai non ci ha mai messo così tanto.
8
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45
Ti prego funziona funziona funziona…
92
144
422
"Allora, ci sei riucito", fa mia mamma.
2.018
6.124
16.002
"Attendo conferma"
99.556
13.456.328
CONFERMATA
Evvai, non ci posso credere! Ce l’ho fatta! Ce l’abbiamo fatta! Guinness, arriviamoooooooo!!!

L’oscuro fascino dello zero

Lo zero (0) – dice Wikipedia – è il numero che precede uno e gli altri interi positivi e segue i numeri negativi.
Zero significa anche: niente, nullo, vuoto. Il numerale o cifra zero si usa nei sistemi di numerazione posizionali, quelli cioè in cui il valore di una cifra dipende dalla sua posizione. La cifra zero è usata per saltare una posizione e dare il valore appropriato alle cifre che la precedono o la seguono.
Lo zero – e questo lo aggiungo io – esercita un fascino oscuro nella cultura umana, per lo meno in quella occidentale (che è quella che conosco meglio). È accettato, oltre che abitudine, fissare traguardi a cifre cosiddette “tonde”, che poi guarda caso finiscono con zero (che è un tondo preso in morsa). Possono essere 100 gol per un calciatore, 1.000.000 di dischi venduti per un cantante, 10 post per un blogger scostante e privo di idee (e con questo doppierei la meta, se solo me la fossi posta), e così via.
Ad esempio, perché quel calciatore festeggia di più il centesimo gol che il centododicesimo? Perché quel cantante dice di avere venduto un milione di dischi anche se i dischi sono un milione e ottantuno? Può un blogger accogliere con guaudio e tripudio il suo tredicesimo post fregandosene spassionatamente del decimo?
Lo zero fa prepotentemente parte dei punti fermi della nostra cultura. La causa dev’essere il fascino perverso di dare valore a qualcosa che valore non ne ha.

(Se xe cusita, al prosimo asegno che me faxì xonteghe un fia de xeri, tanto no i val ninte)

Post scriptum e post rilectum: Mi sono accorto di aver usato inconsciamente, nell’aggiungere numeri ai fantomatici traguardi, multipli di tre: 12, 81, e il 3 stesso.
Mumble mumble…

Pari o dispari?

Pari o Dispari?
Come dire: Yin o Yang? Vita o Morte?
Ogni essere umano tende a preferire i numeri i pari ai dispari o viceversa. Con le varie eccezioni, naturalmente. Io ho una predilezione per i numeri dispari. I “miei” numeri sono tutti dispari, come sono dispari la maggior parte dei numeri che mi comunicano qualcosa o che scandiscono le mie opere.
Ciò implica che non ci sia una volontà razionale nella scelta dei numeri, ma piuttosto un istinto primordiale che porti da una parte piuttosto che dall’altra.
Il mio cruccio, argomento di studio e deliberate teorie, ipotesi e digressioni, riguarda invece i decimali.
Ovvero come reagisce il proprio inconscio a un numero come, ad esempio, 14,3, oppure 8,56. Lo studio del fenomeno è da poco in atto e non ha prodotto (finora) particolari risultati (né li ho (finora) pretesi). Posso dire, sulla base della mia esperienza e delle mie sensazioni personali, di essere attratto (e pronunciare spesso) il 3,2.
Esaminandolo, esso contiene solo numeri primi e, nonostante l’ultima cifra sia pari, sia l’intero che la somma delle cifre sono dispari.
Che sia un segno di qualcosa?