Fenomeni sociali (socialità fenomenali)

Strani fenomeni sociali oggi, sul luogo di lavoro. Ho parlato tutto il giorno con un marcato accento moldavo (scopo di questo post non è celebrare le mie doti – peraltro inesistenti – da attore), divertissement che ha mandato in confusione i miei colleghi: nel giro di poco alcuni di loro hanno cominciato a parlarmi in italiano, lentamente e scandendo bene le parole, assumendo un accento insolito e persino perdendo l’uso delle coniugazioni verbali. Per di più sono stato vittima di razzismo. Ho l’impressione che spingere gli altri al distacco dalla realtà potrebbe essere più facile del previsto. Prendo appunti…

Volere è dovere

Ci ho pensato notando come le mie colleghe, ma anche milioni di altre persone, usano spesso il verbo potere nella sua forma negativa riferendosi a cose che non si devono o non si dovrebbero fare, tipo “Non si può mandare un’email di questo tipo alla tal persona nella tal posizione”, o “Non puoi rispondere così al telefono”, “Non posso andare a casa facendo finta di niente, anche se il mio orario di lavoro è finito” e avanti così all’infinito. Fanno riferimento a regole, di solito non scritte, di politically correctness, di cosiddetta buona educazione (poi che sia buona è tutto da vedere…), spesso di autosottomissione allo schiavismo veneto quando si parla di lavoro (ma questo è un altro discorso ancora).
Sento usare il verbo potere anche quando qualcuno vuole rammentarmi una serie di noiosissime regole, tipo “Non si può bere il vino rosso col pesce”, o quando ci si lamenta dei tanti divieti dicendo “Non si può fare mai niente!”

Nel dizionario, il significato 2 del verbo potere è Avere il permesso, la facoltà di fare qlco.; essere autorizzati. Questo secondo significato entra spesso (quasi sempre) in conflitto con il significato 1, che è Essere in grado di fare qlco., avendone la capacità, la forza. Il significato 2 è astronomicamente distante dal significato 1; piuttosto, assomiglia molto di più alla definizione di dovere: “Non devi rispondere così al telefono”, “Non devo andare via facendo finta di niente”, eccetera eccetera.

Come siamo passati a parlare di non potere anziché di non dovere, a usare la stessa parola confondendo ciò che è vietato con ciò che è impossibile? Perché in effetti non ci sono leggi contro le cose impossibili, d’altra parte non ce ne sarebbe bisogno: “Non devi essere trasparente”, “È vietato cavalcare unicorni” sono norme che non hanno ragion d’essere, dal momento che infrangerle sarebbe fisicamente impossibile.

Usare non potere anziché non dovere crea una conflittualità non indifferente all’interno del potere stesso e dei suoi significati: io posso (sono in grado di) fare qualcosa che non posso (non sono autorizzato a) fare, oppure non posso fare qualcosa che posso fare (nel caso qualcuno mi desse l’autorizzazione a cavalcare unicorni, per esempio).

In realtà questa conflittualità nasconde in sé un preciso progetto (dell’inconscio individuale? di un inconscio collettivo? di chi ha inventato le regole o il linguaggio?) di confondere le due cose: non potere mi solleva da qualunque possibilità di scelta, dal momento che non posso potere l’impossibile. Il verbo dovere o i termini vietato, divieto e così via, mi pongono invece di fronte alla decisione di rispettare o meno una regola, e di fatto a chiedermi, in molti casi, se è sensata, se non è controproducente o dannosa, se è necessario rispettarla, chi me lo fa fare a farlo, eccetera. Ci sono miriadi di regole (spesso non scritte) ereditate da vecchie superstizioni, che nel migliore dei casi non servono a niente, di cui nessuno sente il bisogno, che anzi molti vorrebbero contravvenire ma si bloccano di fronte all’enunciazione di una impossibilità: non posso farlo.

Tutto questo è solo un’accampare scuse per non fare qualcosa che non si vuole o non si ha il coraggio di fare cercando di far ricadere la colpa su un qualche indefinito legislatore. Volere non è più potere, se il dovere prevale sulla volontà. E, dall’altro lato, rispettare una regola che si vuole rispettare non dovrebbe essere motivo di vergogna, quindi perché non prendersi il “merito” della scelta?

 

A questo punto non posso concludere il post senza una conclusione efficace e a effetto. Ma siccome è proprio quello che voglio, è anche quello che farò, in questo momento.

Inferno o Paradiso?

Questa me l’ha girata per e-mail oggi il buon Fabio, in formato Power Point che io odio tanto… ma la storiella merita di essere raccontata:

Berlusconi, essendo unto dal Signore, scivola e muore. Arriva alle porte del Paradiso, dove l’attende paziente San Pietro: “Benvenuto in Paradiso, eminenza. Prima di farla accomodare, devo purtroppo anticiparle che abbiamo un piccolo problema da risolvere. Vede, è molto raro che un politico d’alto rango arrivi qui, e la verità è che non sappiamo cosa fare con lei. Così abbiamo deciso di farle trascorrere un giorno all’Inferno e uno in Paradiso, cosicché lei possa scegliere liberamente dove trascorrere la sua eternità”.
San Pietro accompagna il nuovo arrivato all’ascensore e questi scende, scende fino all’Inferno. Si apre la porta e Berlusconi si trova in mezzo ad un verdissimo campo di golf. In lontananza intravede un lussuoso club house; davanti, tutti i suoi amici politici che avevano lavorato con lui. Gli corrono incontro e lo abbracciano commossi, ricordando i bei tempi andati, quando tutti insieme si arricchivano alle spalle degli italiani. Decidono di fare una partita a golf e poi cenano tutti assieme al club house con caviale e aragosta. Alla cena partecipa pure il diavolo, che in realtà si dimostra essere una persona molto simpatica, cordiale e divertente. Berlusconi si diverte talmente tanto che non si accorge che è già ora di andarsene. Tutti gli si avvicinano e prima che parta gli stringono calorosamente la mano, lasciandolo triste e profondamente commosso.
L’ascensore sale, sale e si riapre davanti alla porta del Paradiso, dove San Pietro lo sta aspettando. Berlusconi passa le successive ventiquattro ore saltellando di nube in nube, suonando l’arpa, pregando e cantando.
Il giorno è lungo e noioso, ma finalmente finisce. Si presenta San Pietro che gli chiede: “Eminenza, ha trascorso un giorno all’Inferno e uno in Paradiso, ora può scegliere democraticamente dove trascorrere l’eternità”.
Berlusconi riflette un momento, si gratta la crapa e dice: “Beh, mi consenta, in Paradiso è stato tutto molto bello, però credo che sia stato meglio all’Inferno”.
Allora San Pietro scrolla le spalle e lo accompagna all’ascensore. Scendi, scendi, giunge all’Inferno.
Quando le porte si aprono, si ritrova in mezzo ad una terra deserta e piena di immondizie sparse dappertutto. Vede tutti i suoi amici in tuta da lavoro che raccolgono il pattume e lo depositano in sacchi neri di plastica. Il diavolo gli si avvicina e gli mette un braccio attorno al collo, in segno di benvenuto.
“Non capisco…”, balbetta Berlusconi “… mi consenta, ieri qui c’era un campo da golf, e un club house, abbiamo cenato a base di aragosta e caviale e ci siamo divertiti un sacco. Ora la terra è solo un deserto pieno di spazzatura e i miei amici sembrano dei miserabili”.
Il diavolo lo guarda, sorride e gli dice: “Amico mio, ieri eravamo in campagna elettorale. Oggi, hai già votato per noi”.

(Ovviamente si usa il nome di Berlusconi per questione di simpatia, ma con Prodi, Veltroni e tutti gli altri politici di qualunque schieramento la trama resta pressoché invariata).

Appello televisivo

La mia TV potrebbe durare altri dieci anni, o per meglio dire potrebbe rompersi da un momento all’altro ma passare dieci anni prima che me ne accorga, perché non la guardo quasi mai.
Oggi è stata accesa mezz’ora e questa mezz’ora mi ha lasciato tre cose.

La prima è uno spot della Fiat Panda che, al di là dei fini pubblicitari, condivido in pieno e voglio citare testualmente:
“Fai un uso intelligente della TV: spegnila! Risparmi elettricità, risparmi tempo, risparmi la pelle del divano (e io mi risparmio anche la voce)” Firmato: Piero Chiambretti.

E poi due mirabolanti notizie al telegiornale.
Si è parlato di un uomo che deve scontare sette mesi di reclusione per aver guidato a scrocco in autostrada accodandosi a chi al casello passava col Telepass. E lì ho pensato che sì, guidare a scrocco sarà pure un reato, ma qualche mese fa con l’indulto hanno svuotato le carceri degli assassini solo per fare posto a chi non paga il pedaggio in autostrada?!
La notizia successiva riguardava un maestro scassinatore che, con tanto di cinegenico passamontagna, illustra come rubare biciclette, aprire cassaforti eccetera in un video on line. Così se uno non sapeva dell’esistenza di questi video ora sa pure dove andarli a pescare.

Inutile dire che dopo queste due notizie non ho potuto non aggiungermi al coro di Chiambretti di cui sopra.
Bel paese, l’Italia.

Mah…

Carabinieri

*** ATTENZIONE: QUELLA CHE SEGUE È UNA STORIA VERA, NON UNA BARZELLETTA SUI CARABINIERI ***
Oggi la mia collega Patrizia ha avuto questa conversazione al telefono con un appuntato dell’arma:

Pat: “Ho smarrito il contrassegno dell’assicurazione, in agenzia mi hanno detto che devo fare denuncia”
CC: “Sì, venga da noi in caserma”
Pat: “Posso venire io anche se la polizza è intestata a mio marito?”
CC: “Sì sì, per noi è lo stesso”
Pat: “D’accordo, allora più tardi vengo”
CC: “Ha già tutti i dati che le servono?”
Pat: “Sì sì, ho il numero di polizza, tutte le carte dell’assicurazione”
CC: “Bene. Ah, si ricordi di portare anche il contrassegno”
Pat: “Quello vecchio?”
CC: “No, quello smarrito”

(Ogni ulteriore commento da parte mia è superfluo)

L’è gol!

Finalmente sono cominciati gli Europei, ma ho perso il primo gol per colpa della mia compagna di viaggio in Irlanda, che è venuta, in piena crisi ansiogena claustrofobica pre-viaggium, a chiedermi se in Irlanda deve portare l’ombrello.
“Ce l’hai il K-way?”
“Me l’ha regalato la Valeria”
“E allora che te ne fai dell’ombrello?”
“Ma neanche piccolo piccolo?”
“…”
E poi che scarpe deve portare (“Se hanno la suola è meglio”), cosa mettere dentro la valigia (“Vedi te se è meglio portare i pasticcini o i vestiti”)… e poi se deve portare il trolley, e poi e poi e poi… BASTAAAAAAAA!!!
Sito mai stà in volta fora de casa? Cosa vuto portarte par quatro dì de vacansa?! L’armadio?!
Fra l’altro avevo il volume della TV a zero perché stavo ascoltando la radiocronaca della Gialappa’s con l’iPod, a sentir ste boiate del gol proprio non me ne sono accorto.

Insomma, Portogallo e Turchia, pur anch’esse senza gol dopo il primo tempo, hanno certo dato più spettacolo che Svizzera e Repubblica Ceca e, nonostante i turchi siano nettamente inferiori alla squadra di Cristiano Ronaldo, faccio fatica a immaginare una delle altre due formazioni ai quarti di finale. Certo, la Svizzera è padrona di casa, ma… boh, forse il calcio da loro è un altro sport.

Però vai in giro per Londra a Soho il sabato sera e se vedi qualcuno con l’ombrello novanta su cento è italiano. Dai, non facciamoci sempre riconoscere!